(30Science.com) – Roma, 06 dic. – C’è lo zampino di un giovanissimo ricercatore italiano, Jacopo Razzauti 25 anni appena compiuti, di Livorno, in uno studio destinato a sconvolgere le nostre conoscenze sulle formiche. Insieme ai suoi colleghi della della Rockefeller University di New York e dell’Università delle Ryukyu a Okinawa, ha infatti dimostrato che anche questi insetti, usano una forma di nutrizione simile all’allattamento. Lo abbiamo raggiunto a New York, alla Rockefeller University per capire qualcosa di più su questa scoperta.
Come è arrivato da Livorno a New York?
Ho lasciato Livorno per studiare in Scozia quando avevo 19 anni. Ho scelto la Scozia perché al tempo (Pre-Brexit) non si pagavano le tassi di istruzione se eri Europeo. In Scozia ho avuto molte opportunità: ho studiato i lemuri nella giungla del Madagascar nel 2018, ho fatto un’intero anno in Canada a studiare fisiologia e antropologia etc. Durante i miei anni di “triennale” (undergraduate) ho vinto svariate borse di studio che mi hanno permesso di studiare in atenei prestigiosi come il Max Planck Institute of Neurobiology a Monaco (al tempo vinsi la borsa di studio AMGEN). Nel 2020 ho vinto la Chemers Neustein Summer Undergraduate Research Fellowship per studiare alla Rockefeller University ma a causa del COVID non sono potuto andare. Il tarlo della Rockefeller mi è rimasto e sebbene abbia ricevuto offerte da Oxford,da Cambridge e dal Crick nel 2021 le ho rifiutate ed ho scelto di fare il mio dottorato qua a New York. Al momento lavoro nel laboratorio di neurogenetica e comportamento sotto la supervisione della dottoressa Leslie Vosshall. Ho appena cominciato il mio progetto di dottorato che si focalizza sui meccanismi di repellenza nelle zanzare ed i rispettivi substrati neurali.
Ci racconta un po’ il suo percorso accademico?
Mi sono laureato in Neuroscience in Scozia, all’Università di Dundee nell’estate del 2021. Lo stesso anno ho iniziato il mio dottorato in neurogenetica alla Rockefeller University di New York, dove lavoro attualmente. Al momento non studio le formiche, bensì le zanzare e sono interessato ai processi neurali della repellenza in questi animaletti carismatici.
Che ruolo ha avuto nella ricerca?
Mi sono occupato della parte di imaging e microscopia. Per capire da quale apertura provenisse il fluido abbiamo dovuto ottenere delle riprese durante le quali si vede un accrescimento del fluido rilasciato. Vi erano due possibili aperture dalle quali poteva fuoriuscire e l’imaging ci ha aiutato a capire meglio l’idraulica del rilascio.
Ora parliamo di formiche. Si tratta di latte vero e proprio, simile a quello prodotto dai mammiferi?
Non proprio. Si tratta di una analogo funzionale del latte materno, nel senso che svolge un ruolo simile anche se è difficile definire quanto simile poiché l’ecologia delle formiche è molto differente da quella dei mammiferi. Diciamo che esistono molti fluidi che in natura vengono utilizzati in ambito sociale, cioè scambiati tra individui della stessa specie o specie differenti. Spesso in passato questi fluidi sono stati paragonati al latte materno nei mammiferi, e questo è un caso simile.
E’ una cosa che riguarda una sola specie di formiche o è più diffusa?
Riguardo molte specie di formiche, nel laboratorio si studiano principalmente le Ooceraea biroi quindi le prime osservazioni sono state fatte in questa specie ma dopo si è notato che si tratta di un fenotipo diffuso in molte altre specie di formica.
Queste secrezioni hanno caratteristiche particolari?
Sì, le analisi proteomiche e metaboliche del fluido hanno rivelato che contiene micro e macronutrienti oltre a vari enzimi implicati in svariati processi biologici quali il sistema immunitario e quello nervoso.
Secondo lei, il latte prodotto dalle pupe svolge anche una funzione “sociale” all’interno del formicaio?
Sì, senza dubbio. Questo è forse l’aspetto più affascinante in quanto sembra che questo prodotto, che potremmo considerare di scarto, sia stato co-adattato durante l’evoluzione delle formiche fino a divenire un nodo cruciale nella rete di interazioni che compongono la colonia. Il fluido promuove le interazioni all’interno della colonia, mantenendone così la coesione e la struttura.(30Science.com)