(30science.com) – Roma, 5 ott. – L’impatto dell’asteroide che ha provocato l’estinzione dei dinosauri 66 milioni di anni fa potrebbe aver innescato anche un’enorme onda anomala che ha causato effetti a catena sul fondo dell’oceano. Descritta sulla rivista American Geophysical Union Advances, questa ipotesi è stata formulata dagli scienziati dell’Università del Michigan e della Purdue University. Il team, guidato da Molly Range, Brian Arbic, Brandon Johnson e Ted Moore, ha eseguito delle simulazioni e modellizzazioni basandosi sulla documentazione geologica raccolta in oltre 100 siti in tutto il mondo. I ricercatori hanno quindi individuato degli indizi geologici a favore delle proprie ipotesi. Stando a quanto emerge dall’indagine, lo tsunami avrebbe provocato onde alte oltre un chilometro e mezzo. Le onde anomale avrebbero eroso i sedimenti nei bacini oceanici in metà del globo. “La distribuzione dell’erosione osservata nei sedimenti marini più antichi del Cretaceo – osserva Range – è coerente con i risultati del nostro modello”.
Gli scienziati hanno calcolato che l’energia iniziale dello tsunami da impatto è stata fino a 30 mila volte superiore a quella associata all’onda anomala verificatasi nell’Oceano Indiano nel dicembre 2004, che aveva ucciso oltre 230 mila persone. “Abbiamo trovato conferme della nostra simulazione nella documentazione geologica – continua Arbic – di particolare rilevanza sono gli affioramenti del confine K-Pg sulle coste orientali delle isole settentrionali e meridionali della Nuova Zelanda, che si trovano a oltre 12mila chilometri dal sito dell’impatto, nello Yucatan”. Inizialmente si pensava che i sedimenti neozelandesi fortemente disturbati e incompleti fossero il risultato dell’attività tettonica locale, ma data l’età dei depositi e la loro posizione direttamente nel percorso modellato dello tsunami da impatto di Chicxulub, il gruppo di ricerca sospetta un’origine diversa. “La nostra teoria – spiega Range – suggerisce che questi depositi stiano registrando gli effetti dell’impatto dello tsunami. Il modello indica che l’asteroide era caratterizzato da un diametro di circa 14 chilometri, che si muoveva a 12 chilometri al secondo. L’enorme massa avrebbe colpito la crosta granitica facendo esplodere un cratere largo circa 100 chilometri e provocando nubi e fuliggine in atmosfera. Due minuti e mezzo dopo, un muro d’acqua avrebbe formato un’onda di 4,5 chilometri d’altezza e nel giro di dieci minuti dall’impatto, si sarebbe generato uno tsunami alto 1,5 chilometri in grado di alterare la struttura dei sedimenti sul fondo dell’oceano”. Un’ora dopo l’impatto, lo tsunami avrebbe raggiunto il Golfo del Messico e nel giro di un giorno le onde potrebbero aver attraversato la maggior parte del Pacifico e dell’Atlantico. Entro 48 ore, la maggior parte delle coste del mondo sarebbe stata interessata da tsunami. “A seconda delle geometrie della costa e della velocità delle onde – conclude Arbic – la maggior parte delle regioni costiere verrebbe inondata ed erosa in una certa misura. Qualsiasi tsunami storicamente documentato impallidisce in confronto a un tale impatto globale. Nei prossimi step cercheremo di modellare l’entità delle inondazioni costiere in tutto il mondo”. (30science.com)