Le fake news sono un falso problema e la post verità, in un mondo fatto di notizie scelte, condivise e diffuse attraverso i pregiudizi,è la norma. Walter Quattrociocchi, ricercatore del Laboratory of Computational Social Science, Networks Department, IMT Alti Studi Lucca, insieme ai suoi colleghi Antonio Scala, Alessandro Bessi, Ana Lucia Schmidt, Fabiana Zollo, Michela Del Vicario, Guido Caldarellia e H. Eugene Stanley ha descritto, attraverso una serie di studi e ricerche apparsi sulle più importanti riviste scientifiche globali, in maniera inequivocabile quali sono le dinamiche che regolano le modalità di diffusione delle notizie sui social network.
La ricerca che è stata pubblicata sui Proceedings of the National Academy of Science (sono i Quaderni dell’Accademia americana delle Scienze) è infatti solo l’ultima di una serie di ricerche attraverso le quali Quattrociocchi è riuscito a dare forma e materia al nebuloso e sfuggente tema della Misinformation.
Si tratta di un lavoro importante, perchè questo fenomeno, all’interno del quale rientrano diversi elementi, tra cui anche la circolazione più o meno intenzionale di bufale e la strumentalizzazione della propaganda politica, è una minaccia diretta alla nostra libertà.
Del resto, per una società che ha nella democrazia il suo cardine, qualsiasi fenomeno possa distorcere i processi attraverso i quali viene fruita l’informazione e viene formata e consolidata l’opinione pubblica è una vera e propria minaccia che rischia di compromettere l’intero sistema democratico. Al di là di quello che lui stesso definisce “cicaleccio”, Walter Quattrociocchi ha descritto, numeri alla mano questo fenomeno. Per primo ha dato immagine e volto alle eco chambers, quelle camere di autoreferenzialità all’interno delle quali siamo confinati ogni volta che entriamo in un social network.
Il vero driver che spinge alla selezione delle notizie è il pregiudizio di conferma (confirmation bias) ovvero la ricerca non della verità, ma di notizie che confermano la nostra interpretazione della realtà. Ora, con questo nuovo studio, ci dice che le news, all’interno dei social networks subiscono le stesse dinamiche che subiscono gli altri contenuti (come, per esempio, le foto dei gattini o i selfie) e che quando andiamo a cercare le notizie attraverso Facebook (il 63 per cento degli utenti di internet usa questo canale) siamo guidati da un altro importante fattore: l’esposizione selettiva (selective exposure). Andiamo cioè a cercare sempre sulle stesse testate le notizie che confermano i nostri pregiudizi.
In pratica, invece di aprirci al mondo e di sfruttare le straordinarie opportunità che ci offre la rete di accedere a un numero praticamente infinito di fonti, finiamo per rinchiuderci all’interno di un gruppo ristretto di fonti, pronti ad ingaggiarci con valanghe di “like” e di “condividi” al grido di “Fai Girare!!!!!” ogni volta che l’argomento si offre a una polarizzazione.
Il vero nemico è, infatti, proprio la polarizzazione contro la quale, interventi come quelli proposti da Google o da Facebook sono del tutto inutili, o addirittura controproducenti, come per esempio, il caso del fact-cheking.
Per il giornalismo in generale si tratta di una presa d’atto davvero importante. “L’avvento dei social ha ridotto immensamente il potere selettivo e di filtro delle testate giornalistiche che ora sono costrette a rincorrere” ha scritto Quattrociocchi su Blog Italia di Agi.
L’impatto dei social network è davvero più incisivo e profondo di quanto fino ad oggi ritenuto. I numeri descritti dalla ricerca di Quattrociocchi mostrano infatti che è la stessa ontologia della notizia ad essere messa in discussione e con essa tutto l’apparato normativo, professionale, tecnico, industriale ad essa connesso. E’ la fine di un mondo, quello della Galassia Gutemberg che lascia il passo alla Nebulosa Zuckemberg.