Giuseppe Novelli

Auguri DNA: 70 anni di doppia elica

(1 Marzo 2023)

Roma – Sono passati settanta anni da quando James Watson e Francis Crick hanno annunciato la scoperta della doppia elica del DNA e il suo ruolo nella trasmissione delle informazioni necessarie alla vita. Da allora, lo studio del DNA ha permesso una vera e propria amplificazione della conoscenza dei processi biologici che, nonostante i grandi progressi, non ha ancora esaurito esaurito tutte le sue potenzialità. Non solo. In questi settanta anni questa molecola straordinariamente complessa ha assunto un ruolo centrale non solo per i medici e per i biologi, ma anche per i comuni cittadini che si trovano sempre più a indagare il proprio codice genetico per cercare di capire meglio sé stessi e il loro organismo.

Nel corpo umano ci sono in media circa 37,2 trilioni di cellule. Dentro ognuna di esse c’è una molecola chimica che conosciamo da 70 anni che con le parole di uno dei suoi scopritori, Jim Watson, definisce “straordinaria, perché contiene le istruzioni per creare gli esseri umani”. E’ il DNA ed è proprio in questa molecola che sono contenute le informazioni necessarie alla vita.  Se potessimo unire in un lungo filamento tutto il DNA del nostro corpo, potremmo raggiungere Plutone e tornare indietro. Questo significa che la quantità di informazioni è talmente grande da poterci scrivere almeno 175 libri di grandi dimensioni per un totale di 262.000 pagine! Ogni nostra cellula contiene due copie di DNA, che complessivamente formano il nostro genoma.

Il DNA è estremamente stabile tanto che oggi è possibile esaminare le informazioni contenute nel genoma degli uomini di Neanderthal o di Denisova e ricostruire la nostra storia evolutiva della nostra specie.

Il DNA è in grado di fare copie di sé stesso e trasferire quindi le sue informazioni in modo preciso e accurato (solo un errore per ogni miliardo di lettere copiate!). Gli errori sono le mutazioni, ne facciamo almeno tre per ogni divisione cellulare. Molte di queste mutazioni sono innocue e prive di significato, altre invece possono avere un significato patologico e quindi diagnostico. Questo ci rende diversi e identici allo stesso tempo. Noi condividiamo lo stesso DNA per circa il 99,9% della sua informazione, ma la piccola quota che ci rende diversi è, nello stesso tempo, enorme: non esistono, e probabilmente non sono mai esistiti due individui identici (non lo sono nemmeno i gemelli monozigoti!). Ognuno di noi può avere centinaia di mutazioni di tipo personale, non condivise nemmeno con i propri genitori e per questo è importante che queste vengano studiate e interpretate da esperti genetisti e non da macchine per quanto sofisticate. Solo il 2% del nostro genoma fornisce le informazioni per costruire le proteine, le vere macchine operative delle nostre cellule. Tutto il resto è in parte residuo evolutivo (l’8% del nostro DNA è di origine microbica) e in parte regolativo, accende o spegne l’attività di numerosi geni e decidere quando attivarli o disattivarli in base alle nostre attività quotidiane, al cibo che ingeriamo, a ciò che respiriamo, ma soprattutto, decide il destino specialistico delle nostre cellule: chi deve diventare fegato, rene, polmone o altro e svolgere funzioni diverse anche se posseggono lo stesso DNA e la stessa informazione. Tutto questo si chiama epigenetica. L’epigenetica ci ha permesso di seguire le impronte che l’ambiente lascia sul nostro DNA e soltanto da poco riusciamo a trovarle e capirle. Infatti negli ultimi venti anni, abbiamo capito come leggere e interpretare le informazioni contenute nel nostro genoma: dare un nome a molte malattie senza diagnosi, diagnosticare in utero malattie genetiche e sviluppare test predittivi di malattie e, in molti casi, di trovare il farmaco giusto per la giusta persona (farmacogenetica); ottenere in laboratorio farmaci salvavita come l’insulina, costruita per noi da batteri geneticamente modificati; di curare definitivamente malattie genetiche pensate inguaribili come la talassemia, l’emofilia, l’anemia falciforme, alcune forme di cecità, l’atrofia muscolare spinale.

Inoltre, ora siamo in grado di utilizzare un codice unico e irripetibile per identificare con certezza l’appartenenza di un campione biologico, ad esempio, una traccia di sangue o di saliva e rivoluzionare quindi la medicina forense. In alcuni casi è oggi possibile, identificare una persona ignota da profilo di DNA attraverso l’analisi familiare eseguita dal confronto del DNA di una macchia repertata sulla scena di un crimine e i profili del DNA nelle banche dati del DNA, in base al quale, eventuali corrispondenze parziali, suggeriscono che il sospetto (cioè la persona che ha lasciato tracce corporee sulla scena del crimine) è un parente biologico di una persona nel database, ad esempio un fratello, un padre o un figlio. È evidente che questo tipo di analisi suscita perplessità in termini di privacy e altre problematiche correlate ai rapporti sociali e familiari. Ed è bene ricordare che una corrispondenza genetica tra i profili, di per sé, non è un indicatore di “colpa”. Ciò che lo studio della variabilità genetica individuale dimostra è che esiste un’altissima probabilità che il DNA estratto da una fonte appartenga alla stessa persona del DNA estratto da un’altra fonte. Un sensibile miglioramento dei risultati attesi dalle indagini criminali è stato ottenuto con l’istituzione della banca-dati del DNA, in grado di contenere tutti i profili genetici degli individui coinvolti in attività criminali (legge 85/2009). L’istituzione di tale banca dati mira a rafforzare la cooperazione transfrontaliera nella lotta ai fenomeni del terrorismo, dell’immigrazione clandestina, della criminalità internazionale e transnazionale. Le disposizioni contenute negli accordi prevedono, infatti, lo scambio di informazioni concernenti dati informatici relativi alle impronte digitali e ai dati genetici (DNA), assicurando un livello adeguato di protezione di questi dati da parte del Paese contraente destinatario. Seppure con legislazioni differenti, banche dati di questo tipo sono già state costituite nel Regno Unito, negli Stati Uniti e nella maggior parte dei Paesi Europei, consentendo di ridurre in maniera sensibile il numero dei casi rimasti irrisolti. È stato infatti osservato che, grazie all’uso di tali banche, molti individui indagati per un particolare crimine sono stati identificati come responsabili di altri reati commessi in precedenza. La banca dati del DNA è diretta anche a stabilire l’identità dei cadaveri, ricostruendo i profili del DNA dei familiari, nonché a rintracciare persone scomparse e a scoprire gli autori di altri reati che oggi, in larga parte, rimangono ignoti, come i furti e le rapine. La banca dati del DNA in Italia è sotto stretto controllo delle forze dell’ordine e ha collezionato al momento circa 50.000 profili di DNA che sono stati validati e verificati.

La complessità del DNA richiama a riflessioni importanti che esperti e comitati ad hoc analizzano, verificano, e validano. È sufficiente un test genetico per sapere se siamo a rischio di sviluppare un dato tumore o una malattia? Non basta una sigla o una singola percentuale per capire se un individuo si ammalerà o meno di un tumore. Il rischio va sempre calcolato sull’analisi familiare. Oltre alla presenza di un gene mutato, sapere che c’è già stato un caso in famiglia e stabilire il grado di consanguineità fa la differenza nella valutazione del rischio individuale. Queste informazioni devono essere raccolte nel corso della consulenza genetica. La consulenza genetica è un processo medico attraverso cui si affrontano i temi della diagnosi, della prognosi e del trattamento di una malattia genetica. In essa viene identificato il modello di trasmissione e il rischio di sviluppare la patologia o trasmettere ai figli e vengono discusse le scelte e le opzioni correlate a quella specifica malattia e ai rischi ad essa legati. Non tutte le mutazioni sono uguali e ogni risultato va inquadrato nel contesto generale. Esistono mutazioni di significato incerto che andrebbero studiate dal punto di vista funzionale. Non sempre questo è possibile ma occorre studiare a fondo i geni per poter dare una risposta al paziente. Ecco perché una consulenza deve esser fatta prima di sottoporsi al test genetico. Una donna con una forte storia familiare di cancro al seno che si sottopone a un approccio di screening basato sul DNA limitato, come alcune varianti patogene comuni BRCA1 e BRCA2, può fornire un esempio istruttivo dei potenziali danni della sostituzione dello screening basato sul DNA per una valutazione diagnostica . Mentre questo screening, se positivo, può fornire informazioni diagnostiche sufficienti e quindi terminare la valutazione basata sul DNA, se negativo potrebbe offrire false rassicurazioni e troncare una valutazione più completa. Il DNA non può funzionare come un oroscopo: conoscere le condizioni di rischio reali significa anche districarsi nella giungla dei test disponibili e analizzare con competenza tutte le informazioni raccolte. Non possiamo pensare di fare un “genoscopo”, un oroscopo basato sul DNA, ma dobbiamo studiare il DNA con le modalità adeguate e con la giusta competenza, e questo non sempre si trova. Auguri DNA. (30Science.com)

Giuseppe Novelli
Professore Ordinario di Genetica Medica, Università di Roma Tor Vergata e Professore Aggiunto Università del Nevada, Reno (USA). Ha insegnato nelle Università di Urbino, Università Cattolica del Sacro Cuore. E’ membro dell’Academia Europaea (https://www.ae-info.org/). Presidente della Fondazione Lorenzini (Milano). E’ stato Preside della Facoltà di Medicina e poi Rettore dell’Università di Roma Tor Vergata; E’ stato socio Fondatore dell’ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile). Ha svolto numerosi incarichi istituzionali, tra cui: - Componente del Consiglio Direttivo dell’ANVUR (Agenzia per la Valutazione delle Università e della Ricerca) (2010-2013). - Consiglio Superiore di Sanità (2015-2019) - Comitato Nazionale Biotecnologie e Biosicurezza presso la Presidenza del Consiglio (2019-attivo) Il Prof. Novelli, ha mappato, identificato e caratterizzato diversi geni umani associate a malattie genetiche quali la sindrome di Laron, la distrofia miotonica, la progeria e altre. Negli ultimi anni si è occupato di genetica dei caratteri complessi come la psoriasi, l’infarto del miocardio e i geni di suscettibilità alle malattie infettive come la tubercolosi, l’AIDS, e recentemente del COVID-19. In questo contesto ha identificato mutazioni potenzialmente letali nei geni che codificano per gli interferoni e caratterizzato i primi anticorpi monoclonali sintetici contro SARS-CoV-2 e ha scoperto una delle prime molecole antivirali contro il COVID-19, l’indolo-3-carbinolo. Autore di oltre 800 pubblicazioni internazionali con un H-index di 63. E’ inserito nella lista dei Top Italian Scientist nel settore delle Scienze Biomediche https://topitalianscientists.org/home