Clima e fusione nucleare

A QUANDO, REALMENTE, ENERGIA DA FUSIONE?

(1 Febbraio 2023)

Renato Spigler

Dipartimento di Matematica e Fisica, Università Roma Tre e Istituto dei Sistemi Complessi (ISC) – CNR spigler@mat.uniroma3.it

Roma, 1 feb. – La richiesta di energia, in sempre maggior quantità, sembra essere oggi più che mai chiaramente (e purtroppo drammaticamente) in crescita, sia da parte dei Paesi industrializzati che di quelli cosiddetti emergenti. Infatti, ai primi serve energia non solo per stare meglio ma anche per soddisfare i bisogni di industrie e servizi sempre più sofisticati eppure necessari (benessere, medicina, comunicazioni, trasporti). Ma serve energia ovviamente anche ai Paesi emergenti (del terzo e quarto mondo), spesso molto popolosi, che stanno percorrendo la stessa strada fatta a suo tempo da quelli oggi più sviluppati. Questi Paesi, per una serie di motivi, tendono a sfruttare forme di energia inquinanti, derivate da sorgenti fossili.

Renato Spigler

Apparentemente oggi esiste e anzi sta crescendo nei Paesi più avanzati una maggiore sensibilità verso l’ambiente, e quindi la tendenza a ricorrere a fonti energetiche pulite e sicure, ma è difficile condannare tout court i Paesi più poveri che hanno risorse fossili ma non possono affrontare i costi inerenti allo sviluppo e all’adozione di sorgenti sostenibili. Non è detto che questi Paesi siano privi di scrupoli nei confronti dell’ambiente, ma la necessità di sopravvivere anche se in condizioni di pericolo per la salute pubblica supera la prudenza richiesta nell’uso delle fonti energetiche che l’Occidente oggi critica fortemente e vorrebbe abolire del tutto. Mentre, con buona pace degli ambientalisti più irriducibili, le fonti dette alternative di energia pulita che la Natura ci offre (idroelettrica, eolica, solare, da onde marine, da biomasse, geotermica) sembrano apportare un contributo molto modesto, insufficiente alle necessità sia di Società sviluppate che in via di sviluppo, rimane sul tappeto l’energia nucleare, cioè quella ottenibile da reattori a fissione (esistenti) e quella perseguıta da lungo tempo (anche se questo ritardo `e stato causato da ingiustificate deviazioni), proveniente dalla fusione.

Va anche conteggiato il costo ambientale nonché l’inquinamento a monte e a valle e le difficoltà di stoccaggio relativi alle varie forme di energia alternativa. Inoltre queste sono legate alle condizioni climatiche, diverse nelle diverse regioni del Paese, mentre una centrale nucleare di qualunque tipo produrrebbe una quantità di scorie trascurabile, anche se queste presentano
pericoli da valutare.

L’energia da fissione

L’energia da fissione è vista ancor oggi come pericolosa, sia per la radioattività che l’accompagnerebbe in caso di disastri naturali o dovuti a errori umani, sia per le scorie che resterebbero radioattive per tempi molto lunghi. Si contano però ormai più “generazioni” di reattori a fissione, ritenuti via via più sicuri, e forse i disastri finora registrati (Three Miles Island, Chernobyl, Fukushima) sono stati sovrastimati. E stato anche proposto di collocare dei reattori a fissione sottoterra, a 200-300 metri di profondità. L’uomo della strada non è abituato a “vivere secondo statistica” e ignora, ad esempio, che il vaccino anti covid-19, da alcuni osteggiato, comporta un rischio enormemente inferiore a quello di essere colpiti da un fulmine o di morire per lo shock anafilattico causato dalla puntura di un insetto. La classe di individui più preparati e la classe politica di un Paese moderno, che dovrebbe essere una sua auspicabile emanazione, dovrebbero farsi carico di informare correttamente la popolazione. Infatti, non tutte le decisioni si possono lasciare al Popolo intero, perché le competenze specifiche in ogni campo sono di fondamentale importanza. E un dato di fatto che esiste oggi, e non solo in Italia, un’ampia e diffusa disinformazione, la diffusione di informazioni incomplete, errate, o volutamente  tendenziose, ad opera a volte di ignoranti, spesso di incompetenti, altre volte per interessi di parte ben precisi. I risultati sono sempre dannosi. Sappiamo da molti anni che “spaccando”  atomi (più facile se pesanti come l’uranio e il plutonio), si ottiene energia. La versione incontrollata di questo processo purtroppo ci ha dato la bomba atomica, quella  controllata ci ha fornito energia pacifica tramite opportuni reattori. Questa è la fissione.

Oggi sembrerebbe alle porte una quarta generazione di reattori a fissione, ritenuti sicuri. Vedremo. Intanto, anche quelli meno sicuri sono fonte di guadagno da parte di Paesi come Francia e [fino ad ora] Russia, che li costruiscono e li vendono in giro per il mondo. Ha senso che l’Italia non li voglia sul suo suolo, ma acquisti energia da fissione da Francia, Svizzera e Slovenia? Una eventuale catastrofe oltralpe non diffonderebbe radioattività anche qui da noi? O si fermerebbe sulle Alpi perché vietata da un referendum?

L’energia da fusione

Si parla da tempo, e al momento con una certa rinnovata enfasi, di energia da fusione. In che cosa consiste? Si sa che anche facendo “fondere” atomi (più facile se sono leggeri come l’idrogeno e i suoi isotopi, deuterio e trizio, o elio), si libera energia. Anche qui, se ne è vista una realizzazione bellica nella cosiddetta bomba H, la “bomba all’idrogeno”. Ma di nuovo, a testimonianza del fatto che l’utilizzazione dei risultati e dei prodotti della Scienza, della tecnologia, dipende dalle scelte responsabili dell’Uomo, accade che le reazioni nucleari da fusione hanno anche una possibile applicazione pacifica. E questa la via che si vorrebbe seguire realizzando la fusione termonucleare controllata, in un “reattore a fusione”. Questo, vista l’assenza di inconvenienti derivanti dai prodotti di reazione, ad esempio utilizzando opportune miscele di deuterio e di elio-3, nonché – in linea di principio – la vasta disponibilità del materiale da  utilizzare come combustibile, rappresenterebbe la soluzione di tutti i nostri mali: una fonte virtualmente inesauribile di energia sostenibile. Non poco. Va detto che mentre il deuterio si può ottenere facilmente dall’acqua (per distillazione), l’elio-3 è meno facilmente reperibile (lo si può ricavare da reazioni deuterio-deuterio, o portarlo dalla Luna, dove si trova in abbondanza, anche se per ora questo non è ancora fattibile).

In relazione alla fusione, si parla non a torto di energia simile a quella prodotta nel Sole. Tutte le stelle sono tenute “accese” da reazioni termonucleari, quelle che si verificano nella sopra citata fusione. Le stelle “si spegneranno”, moriranno in quanto tali, quando tutto il loro combustibile sarà esaurito, cioè quando non ci saranno più elementi leggeri da utilizzare per la
fusione. Il tempo richiesto perché una stella bruci tutto il suo combustibile però si misura tipicamente in miliardi di anni e si stima che il nostro Sole abbia ancora 4 o 5 di miliardi di anni da vivere.

Realizzare la fusione sulla Terra tuttavia presenta difficoltà non banali. Lo stato fisico in cui si presenta la materia nelle stelle è quello di plasma, cioè di gas ionizzato: i suoi atomi sono divisi in ioni (di carica positiva) ed elettroni (di carica negativa). Questo gas, come si può intuire, tende ad espandersi, a fuggire via, e questo impedirebbe la collisione di particelle (più precisamente di ioni) che così facendo si fondono dando origine a ioni più pesanti, liberando al contempo energia da fusione. Nelle stelle, la cui massa è notevole, è la forza di gravità che tiene confinato il gas, ma sulla Terra questo non basta: la massa necessariamente modesta di gas ionizzato prodotto in laboratorio non può essere confinata dall’attrazione  gravitazionale della Terra.

In linea di principio, vi sono fondamentalmente due possibili soluzioni per realizzare reazioni di fusione in un laboratorio e in prospettiva, si spera, in un vero reattore. Una è basata sul fatto che le particelle di gas ionizzato sono elettricamente cariche e quindi sensibili alle azioni di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici. Questo porta a concepire ad esempio (ma non
solo) dei dispositivi “toroidali”, cioè a forma di ciambella, di “toro”, come dicono i matematici, in cui le particelle cariche restano confinate perché costrette a girare intorno alle linee del campo magnetico che viene creato all’uopo entro il “toro”. Il plasma così confinato però deve avere una densità e una temperatura sufficientemente elevate e restare confinato per un tempo sufficientemente lungo a che vi sia una probabilità sufficientemente alta che abbiano luogo reazioni da fusione. Realizzare queste condizioni in laboratorio non è banale. Per molto tempo si è creduto che costruire macchine sempre più grandi avrebbe prodotto il risultato desiderato, ma sfortunatamente questo non sembra essere vero, mentre il costo per la costruzione di una macchina toroidale cresce drasticamente con le sue dimensioni.

Una macchina di una certa dimensione, concepita per condurre esperimenti per la fusione, è il JET (Joint European Torus), ospitato presso il Culham Centre for Fusion Energy, a Culham, in Gran Bretagna. Il JET è stato operativo per molti anni, dal 1983 ad oggi, e terminerà di funzionare entro la fine del 2023. Esso ha prodotto parecchi risultati sperimentali ad opera di numerosi ricercatori provenienti da tutto il mondo, ma deve essere chiaro che il JET non è mai stato concepito come un prototipo di reattore, cioè come un dispositivo capace di raggiungere l’ignizione, cioè l’innesco di una reazione termonucleare, ma anche di far sì che poi la reazione si autosostenga, producendo più energia di quanta necessaria per avviare il processo. E un dato di fatto che attualmente la macchina ITER, in via di parziale costruzione (a Cadarache, in Francia) e ampiamente pubblicizzata dalla stampa, non ha, né può avere – progetto alla mano – l’obiettivo di raggiungere l’ignizione. Figuriamoci la conseguente costruzione di un reattore termonucleare entro un paio di decenni.

Una seconda via per realizzare la fusione, distinta dalla precedente, basata sul confinamento magnetico, è quella che si serve del confinamento inerziale. Detto in breve, questo consiste nell’indurre la fusione mediante una compressione estrema di una miscela di deuterio e trizio ottenuta con una varietà di dispositivi e processi, ad esempio con un fascio laser di grande potenza o di particelle ad alta energia.

Cosa accade nel Sole?

L’Atmospheric Imaging Assembly (AIA) a bordo del Solar Dynamics Observatory della NASA cattura un deflusso sovra-arcade all’interno di un brillamento solare avvenuto il 29 novembre 2020. CREDITO SDO/Sijie Yu della NASA

Le reazioni di fusione nucleare, responsabili della produzione dell’energia del Sole, avvengono nel suo nucleo, la sua parte più interna, ove temperatura e densità sono più elevate. Nel nucleo del Sole l’idrogeno viene convertito in elio (passando per il deuterio). Da quanto si sa oggi, il nucleo del Sole è costituito prevalentemente da idrogeno. La temperatura si aggira sui 16 milioni di gradi, la pressione è estremamente elevata, intorno ai 500 miliardi di atmosfere, e la densità del materiale presente è di circa 150000 kg/m3. Queste condizioni sono eccezionali su di una scala umana, cioè sulla Terra, ma sono normali in una stella. A queste temperature gli atomi di idrogeno presenti nel nucleo del Sole non possono restare integri e si separano in protoni ed elettroni. L’energia termica è così alta che quando dei protoni si incontrano casualmente, essi vincono la repulsione elettrica tra cariche dello stesso segno e si uniscono a formare un nucleo di elio. Ogni secondo, circa 594 milioni di tonnellate di idrogeno si fondono, rilasciando un’energia pari a 386 miliardi di miliardi di megajoule. Questa energia è equivalente alla massa di 4 milioni di tonnellate (di idrogeno), mentre le restanti 590 vengono convertite in elio. Il nostro Sole quindi si alleggerisce di 4 milioni di tonnellate ad ogni secondo, ma la sua massa complessiva è così grande che anche dopo circa 5 miliardi di anni di vita attiva essa si è ridotta solo in modo impercettibile.

Riassumendo, nelle reazioni di fusione, nuclei di elementi leggeri quali l’idrogeno, a temperature e pressioni elevate come detto sopra, fondono formando nuclei di elementi più pesanti come l’elio. Per la precisione, si deve osservare che l’idrogeno è presente nel nucleo del Sole in varie forme (isotopi), che sono l’idrogeno propriamente detto (H), il deuterio (D) e il trizio
(T). Nella reazione termonucleare D-T tra un nucleo di deuterio e un nucleo di trizio, ad esempio, si genera un nucleo di elio (particella alfa) ed un neutrone. La massa complessiva dei prodotti di reazione risulta essere inferiore alla somma di quelle delle particelle interagenti ed è per questo che si verifica la liberazione di energia secondo il principio di equivalenza massa-energia.

Ma la fusione è realizzabile sulla Terra?

Un tecnico lavora presso la National Ignition Facility. Gli scienziati hanno utilizzato la serie di 196 laser per creare condizioni simili al gas caldo all’interno di giganteschi ammassi di galassie. CREDIT National Ignition Facility

Decenni di esperimenti hanno generato alternativamente l’illusione di un successo vicino come pure lo scoramento provocato dal dubbio di non poter realizzare la fusione in un laboratorio sulla Terra. Quest’ultima, tuttavia, non è l’opinione della comunità scientifica internazionale. D’accordo con Niels Bohr, non è facile fare delle previsioni, soprattutto sul futuro, ma vi sono serie indicazioni su quanto potrà accadere riguardo alla fusione? Mentre sulla stampa comune si legge, di tanto in tanto, in realtà ultimamente abbastanza spesso, che in Cina hanno raggiunto temperature eccezionali per tempi lunghi (ma con plasmi troppo poco densi, e il giornalista non lo dice), o che una macchina (tutta da costruire) ci porterà “il Sole in casa” entro pochi anni, o che la compagnia inglese privata Tokamak Energy ha raggiunto i 100 milioni di gradi in un esperimento condotto su di un tokamak sferico (senza specificare densità e tempi di confinamento del plasma), sembra essere stato poco pubblicizzato l’esito di un esperimento ottenuto al NIF (National Ignition Facility), presso il Lawrence Livermore National Laboratory, in California, annunciato nell’Agosto del 2021. Infatti, qui, utilizzando il metodo del confinamento inerziale, c’è stata una sostanziale evidenza che la sopra citata ignizione sia stata effettivamente raggiunta. Il risultato ha in realtà un valore eccezionale, perché dimostra – quanto meno – che la fusione nucleare è realizzabile in laboratorio, sulla Terra.

E cosa possiamo dire della fusione in macchine a confinamento magnetico? Dopo l’iniziativa Europea del JET, nel 2007 è stata programmata la costruzione a Cadarache, in Francia, di una macchina più grande, ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor). Secondo quanto si legge su wikipedia, ITER, inteso anche nel significato originale latino di “percorso” o “cammino”) è un progetto internazionale che si propone di realizzare un reattore a fusione nucleare di tipo sperimentale, in grado di produrre un plasma di fusione con più potenza rispetto alla potenza richiesta per riscaldare il plasma stesso. Da quanto dichiarato in seguito dai progettisti stessi (la macchina è ancora in fase di realizzazione, ma la progettazione stessa non sembra sia stata completata), non sembra che tra gli obiettivi raggiungibili da ITER vi sia l’ignizione. Se le cose stanno così, a fronte di una fase di costruzione della durata di almeno tre decenni (l’anno previsto per l’inizio dei primi esperimenti col plasma, al momento, è slittata al Dicembre del 2025), e di una spesa che è levitata prima da 5 a 10 poi a 60-65 o più Miliardi di Euro, avremo una macchina che potrebbe dare meno del JET! Questo è tanto più grave se si pensa che a ITER dovrebbe far seguito un vero prototipo di reattore, denominato DEMO (DEMOnstration Power Plant). Non ultimo va osservato che, se ITER sarà un fallimento, l’enorme spesa oltre al tempo impiegati spingeranno verosimilmente quasi tutti i Paesi del mondo a bloccare chissà fino a quando finanziamenti significativi per la ricerca sulla fusione. Il danno economico sarà enorme.

Nel corso degli anni, mentre gli USA si sono sostanzialmente tirati indietro quanto a finanziamenti dal programma ITER, molti Paesi tramite figure politiche, ma anche esponenti del mondo scientifico, si sono schierati apertamente a suo favore. Alla luce delle critiche precedenti, l’atteggiamento di forte sostegno a ITER sembra alquanto inspiegabile, se non a causa di una limitata o non aggiornata visione scientifica, o di interessi economici, ad esempio a favore della vendita di reattori a fissione (ritardando la fusione) o per favorire industrie presenti in vari Paesi, ma tutto questo nulla ha a che vedere con la realizzazione di un vero reattore a fusione. Sta di fatto che è stata consolidata da più parti la validità di un paradigma diverso da quello seguito da ITER, e cioè quello delle macchine compatte, cioè di dimensioni relativamente contenute, e ad alto campo, cioè caratterizzate da campi magnetici di confinamento di valore particolarmente elevato.

E il caso di Ignitor, una macchina che, sulla base di un accordo Italo-Russo, compartecipato anche dagli USA e siglato da tempo, non si propone certo come reattore, ma ha tra i suoi obiettivi la possibilità concreta di avvicinarsi all’ignizione. Per confermarlo si dovrebbe costruire la macchina, il cui nocciolo avrebbe un costo dichiarato non superiore a circa 78 Milioni di Euro (da confrontare col costo totale, stimato 65 (o più) Miliardi di Euro per ITER, che neppure ha l’obiettivo dell’ignizione). Perché Ignitor costa così poco? Innanzitutto, i siti destinati ad ospitare la macchina sono già disponibili (a Caorso, mentre inizialmente si era pensato a Troisk, in Russia), il costo della progettazione è già stato quasi tutto pagato, e molte persone che ci lavorano lo fanno senza essere pagate per questo, trattandosi di ricercatori e docenti universitari che già godono di un loro stipendio-base. I 78 milioni di Euro, che erano stati assegnati a Ignitor (e dopo questi anni di attesa si possono ritenere levitati a non più di 100) servono per la costruzione del nocciolo della macchina, cioè della macchina in sé, senza considerare le infrastrutture. Le sue varie parti devono essere costruite a opera di industrie italiane, con una piccola parte del costo da assegnare ad aggiornamenti e controlli progettuali a opera di  professionisti qualificati (ingegneri) italiani. Ignitor è un esperimento scientifico, basato su di una macchina la cui costruzione è possibile, pur con mille ostacoli burocratici, mentre già rientrava, come si è detto, in un accordo siglato dall’Italia e dalla Russia nel 2011 (col benestare degli USA), tra Berlusconi e Putin, in tempi non sospetti. L’accordo prevedeva – come si è detto – la costruzione delle varie parti della macchina ad opera di industrie italiane, dopo di che queste sarebbero state spedite in Russia e assemblate a Troisk, dove esiste un sito  adeguato ad ospitare la macchina e ad alimentarla.

Bruno Coppi

Gli eventi drammatici legati all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, hanno minato verosmilmente i rapporti con la Russia anche nel campo scientifico e questo durerà per chissà quanto tempo, ma l’urgenza ora ancora maggiore di soddisfare le richieste di energia dovrebbe spingere il nostro Paese a realizzare Ignitor in Italia. Del resto, l’idea, come pure il progetto,
sono opera dell’italiano Bruno Coppi, Professore del MIT di Boston, e italiane sono le industrie che da sempre sono state previste per costruire le varie parti di Ignitor. Dunque, disponendo di un sito più che adatto quale è quello di Caorso, non c’è motivo di perdere tempo. Non abbiamo bisogno della Russia per procedere. Ma perché un cifra così modesta come quella richiesta da Ignitor – i 78 Milioni di Euro assegnati ai tempi del Ministro Gelmini nell’ambito dei “progetti bandiera”–, fu poi ricollocata in gran parte altrove altrove dal Ministro Fedeli, senza neppure consultare il responsabile del progetto Ignitor, Bruno Coppi? E perché dal 2018 l’ENI partecipa ad un consorzio, il cosiddetto Commonwealth Fusion Systems (CFS), uno spin-off del MIT, con 50 milioni di Euro già versati, per costruire SPARC, una macchina che in sostanza è un tentativo di copiare Ignitor, e questo senza neppure consultare l’ideatore? Tutto questo resta un mistero. Oltre al valore scientifico dell’esperimento e, in prospettiva, potenzialmente economico, con la crisi energetica oggi in corso e l’oltre 40% di fabbisogno energetico dell’Italia dipendente dal gas della Russia, si sarebbe dovuto tenere in maggior conto il valore diplomatico del sopra citato accordo Italo-Russo (concluso con il benestare degli USA), accordo che peraltro era già stato siglato, ma mai completamente onorato. Infatti, la collaborazione per Ignitor si poteva anche interpretare come un’azione cooperativa a favore della pace nucleare, come del resto questa era iniziata a opera di Coppi e del suo corrispondente russo, E. Velikhov. Oggi, quest’ultimo obiettivo sembra sfortunatamente obsoleto.

L’idea dei “reattori ibridi”

Interni Alcator C-Mod di A-Port

Esiste una possibilità che permetterebbe di utilizzare reazioni a fissione, ma con reattori aventi caratteristiche ben più avanzate di quelli costruiti attualmente. Si tratta dei cosiddetti “reattori ibridi”, macchine in cui la sorgente dei neutroni necessari per produrre reazioni di fissione è costituita da una macchina a fusione, ma senza la necessità che quest’ultima raggiunga l’ignizione. Il materiale fissile più desiderabile sarebbe costituito da torio e plutonio. Questa soluzione innovativa combinerebbe l’affidabilità dei reattori a fissione tradizionali con la  sicurezza. Il fatto notevole è che, a differenza del caso della fusione, esiste già oggi la tecnologia necessaria per costruire un reattore ibrido. Non solo, ma in questo campo l’Italia si troverebbe in pole position, dato che la suddetta tecnologia fa seguito a quella già sviluppata per costruire le macchine sperimentali Alcator A (in funzione negli anni 1973-1979), Alcator C (anni 1978-1987), e Alcator C-Mod (anni 1991-2016), il cui nome viene dall’italiano “Alto Campo Toro”, che hanno operato presso il Plasma Science and Fusion Center del MIT, a Boston, nonché FT (Frascati Tokamak) e FTU (Frascati Tokamak Upgrade), entrati in funzione rispettivamente nel 1977 e nel 1989 presso l’ENEA, a Frascati, e quanto concerne il sopra citato progetto Ignitor. Non a caso, in Russia sarebbe già stata decisa la messa a punto di un esperimento che segue questa linea.

Ma a che punto siamo realmente?

Sfortunatamente, per motivi a volte noti a volte no, è un dato di fatto che siamo circondati da una notevole disinformazione. Di confortante c’è il risultato di NIF, che per lo meno dimostra che la fusione nucleare è fattibile in un laboratorio sulla Terra, utilizzando il confinamento inerziale. Meno promettenti sono i risultati finora ottenuti o previsti col confinamento magnetico. Riassumendo:

ITER: senza contare il notevole costo e i tempi stimati per il suo completamento, non prevede neppure di raggiungere l’ignizione, il che non d`a certo molte speranze che il successivo DEMO possa essere davvero un reattore. L’invasione russa dell’Ucraina, con le conseguenti sanzioni messe in atto da UE e USA, causerà probabilmente ulteriori danni anche a ITER.

DTT (Divertor Tokamak Test): dovrebbe essere realizzato all’ENEA di Frascati, con ENI e il Consorzio CREATE, ma non vi sono ancora giustificazioni sufficienti perché si possa procedere con esso. Riguardo al DTT è stato dichiarato testualmente che, “al costo stimato di circa 600 milioni di Euro, ENEA ed ENI [lo] realizzeranno a Frascati nei prossimi sette anni, con finanziamento sostanzialmente nazionale (10% fornito dalla EU), progetto che punta alla realizzazione di un “divertore”, un dispositivo che ha lo scopo di espellere l’energia – per
lo più calore – e i prodotti della fusione nucleare che si generano all’interno del tokamak. Sarebbe una macchina molto flessibile negli scenari operativi e rappresenta un significativo avanzamento, in termini di prestazioni, rispetto alle macchine attuali concepite oltre 40 anni fa. Lo scopo di DTT è quello di qualificare i prototipi di divertore per DEMO (la macchina dimostrativa di fusione nucleare che seguirebbe ITER), ma il suo esercizio permetterà anche di far crescere nuove generazioni di scienziati, in grado poi di lavorare su ITER e DEMO.”
In realtà, il costo sarebbe già lievitato a 650 milioni di Euro, ma è opinione comune che a progetto ultimato esso salirà ad almeno il doppio. Purtroppo si tratta solo di ipotesi. Se ITER non sarà completato secondo il progetto, certo servirà a poco l’idea di DEMO e di conseguenza il DTT che servirebbe per esso. Si salva solo il fatto che “nuove generazioni di scienziati” potranno crescere, come è accaduto anche col JET, lavorando a esperimenti scientifici sulla fusione. Ma a quale prezzo per il contribuente? In realtà, proseguendo su questa strada, l’Italia si vedrà per chissà quanti anni del tutto priva di esperimenti significativi, quali sono stati per decenni FT ed FTU all’ENEA di Frascati.

SPARC, la macchina del Commonwealth sopra citato: cerca di riprodurre (bene?) la macchina già progettata per il Programma Ignitor, ma per il momento è stata costruita soltanto una delle numerose spire necessarie per formare una bobina superconduttrice. Non è neppure chiaro se vi sia al mondo sufficiente materiale complessivo, dato che servono elementi molto
rari. Infatti, mentre Ignitor ricorrerebbe a ceramiche superconduttrici di MgB2 (diboruro di magnesio), ben più problematico sarebbe utilizzare superconduttori di ReBCO (cuprato di bario e terre rare). Ciò che è più realistico è sperare nella messa a punto di nuovi materiali superconduttori più alla portata, per cui ci sono state recenti novità a Princeton.

JET: la macchina, ancora in funzione a Culham, ha dato dei risultati ampiamente pubblicizzati. Sfortunatamente questi non sono così notevoli come dichiarato: si sono iniettate potenze ben superiori a 30-35 MW (megawatt) per arrivare a un plasma riscaldato a soli 10 MW. Inoltre va precisato che solo un terzo di questi si possono considerare dirttamente “utilizzabili”.
Chiunque capisce che per ottenere un vantaggio, il rapporto tra la potenza utile ricavata e quella fornita deve essere maggiore di 1. La BBC ha sollevato qualche dubbio sul successo sbandierato e infatti una fonte informata avrebbe detto che il rapporto tra energia immessa ed energia emessa nell’impianto del JET era rimasto purtroppo invariato rispetto al passato. Altri esperti hanno precisato che lo scopo del citato esperimento del JET era in realtà semplicemente quello di riprodurre il risultato (cioè il guadagno) già ottenuto 20 anni fa ma iniettando potenze maggiori, nonché farlo in presenza di una nuova parete interna della macchina, costituita ora di Berillio e Tungsteno. Era questo che è stato fatto in vista di futuri esperimenti su ITER. Dal punto di vista tecnico quest’ultimo punto era interessante perché è noto che il carbonio (la grafite), usato in passato nella parete interna del JET, trattiene il Trizio, e vi sono varie differenze nella fisica che si ha nelle due diverse condizioni citate.

IGNITOR: non viene reso noto il motivo per cui i lavori relativi alla sua costruzione vengano di fatto ostacolati, a vari livelli decisionali. La macchina è peraltro stata imitata (ad un costo ben più alto) da SPARC, per non parlare della realizzazione – alla portata – di reattori ibridi, che sono basati sulla stessa tecnologia e su delle conoscenze di fisica già disponibili. A proposito di Ignitor, L.J. Reinders scrive, nel suo recente volume The Fairy Tale of Nuclear Fusion Springer Nature, Switzerland AG, 2021, par. 6.5, pag. 165): “Finally, we mention the joint Russian-Italian project on the IGNITOR reactor, which has evolved out of Bruno Coppis activities at MIT (see Chap. 5). It is part of the line of research that started with the Alcator machine
at MIT in the 1970s, and continued with Alcator C/C-Mod at MIT and the FT/FTU experiments at Frascati.It is so far the first and only experiment proposed and designed to obtain physical conditions in magnetically confined D-T plasmas that sustain the plasma under controllable conditions without the addition of extra heat, i.e. to achieve ignition. It is a compact D-shaped
fusion reactor with total plasma volume of just 10m3 . So far only model calculations have been carried out (Bombarda et al. 2004) and construction of the reactor itself at the TRINITI site in Troisk (Russia) is long overdue”. Le osservazioni contenute in questo articolo non vogliono essere del tutto negative, ipercritiche o eccessivamente pessimistiche, ma sta di fatto che solo
una conoscenza scientifica seria e una informazione corretta sono alla base della soluzione e anche della pubblicizzazione di problemi cos`ı importanti e non più eludibili, anzi  procrastinabili, quali quelli dell’energia. La disinformazione non può che nuocere illudendo i contribuenti e indirizzando i finanziamenti sia pubblici che privati verso strade meno appropriate e promettenti. Questo anche perché le soluzioni alternative per disporre di energia da gas non sembrano fornire grandi quantità né farlo a breve termine. Da un lato si stima che l’aumento di gas che si vorrebbe estrarre in Italia, soprattutto intorno alle coste, oltre a presentare i noti rischi ambientali, ne produrrebbe solo un 10% in più. D’altra parte, come ben osservato da Romano Prodi, l’utilizzazione pratica del gas estratto altrove, lontano dall’Italia, richiede tre fasi: (1) lo si deve trasformare in forma liquida per poterlo trasportare; (2) il trasporto deve essere fatto mediante appositi gasdotti o speciali navi metaniere; (3) il gas liquido deve essere poi ritrasformato in gas (rigassificazione). Al momento non vi sono in Italia abbastanza impianti né navi attrezzate per far fronte a tutto questo e non si potrà certo organizzarlo dalla sera alla mattina. Dal punto di vista degli utenti comunque non si dimentichi che il costo dell’energia in bolletta non è determinato solo dal costo dell’energia in s`e, ma da notevoli quote di tasse, pur in parte giustificabili per spese nel sociale.

Conclusioni

Sembra opportuno non rischiare di perdere, come sistema-Paese, e per l’ennesima volta – come è accaduto nei tristi casi della Chimica al tempo di Natta e dell’Elettronica a quello di Olivetti –, la possibilità di giocare un ruolo centrale sullo scenario internazionale, dato che vi sono tutte le premesse per poter procedere verso obiettivi di successo. Dal punto di vista operativo, sarebbe opportuno un intervento coordinato che comprenda la partecipazione di cinque degli attuali ministeri: il Ministero della Transizione Ecologica, il Ministero dello Sviluppo Economico, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Ministero dell’Università e della Ricerca, e il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, probabilmente creando un’Agenzia ad hoc.

Ringraziamenti

L’autore ringrazia, per le competenti osservazioni fatte nel corso della stesura di questo articolo, Bruno Coppi (MIT), Alessandro Cardinali, Cristina Mazzotta e Gianluca Pucella (ENEA-Frascati), e Valeria Ricci (Università di Palermo). (30Science.com)

Clima e fusione nucleare
Blog collettivo a cura di Marco Mayer, Università LUISS, che esplora gli scenari legati allo sviluppo delle tecnologie della fusione nucleare in relazione alle politiche di riduzione delle emissioni di carbonio in contrasto ai cambiamenti climatici