Valentina Arcovio

Long Covid, la pandemia invisibile che minaccia i diritti umani

(8 Novembre 2022)

(30Science.com) – Roma, 8 nov. – “Una pandemia nella pandemia, una sfida difficile e complicata che tutti i paesi del mondo dovranno imparare ad affrontare”. E’ così che Guido Rasi, ex numero uno dell’Ema e direttore scientifico di Consulcesi, definisce il Long Covid, quella sindrome interessa una buona parte di coloro che sono stati positivi al Covid-19 e che dopo più di 4 settimane dall’infezione acuta sperimentano una persistenza o l’insorgenza di segni e sintomi legati alla malattia.

La questione non è solo urgente ma investe molti più settori: certamente la sanità, ma anche l’economia, il lavoro, gli esteri e così via”, sottolinea Rasi. Con i numeri attuali il Long Covid è a tutti gli effetti un’emergenza globale. In un recente dossier diffuso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), relativo a 53 paesi della regione europea, nei primi due anni di pandemia almeno 17 milioni persone hanno sperimentato il Long Covid. Mentre nel mondo le stime sono ben più complicate, ma superano comunque i 100 milioni.

Sebbene l’impatto del Long Covid sulla popolazione sia evidente e la sindrome sia stata riconosciuta come entità clinica – spiega Rasi – sono in corso diversi studi che hanno lo scopo di definire sempre meglio le sue caratteristiche, a partire dalle cause”. Infatti, al momento, il Long Covid rimane una condizione sconosciuta. Per quanto riguarda i sintomi gli scienziati ne hanno individuato all’incirca 200. Possono variare da persona a persona, indipendentemente da quanto sia stata grave la fase acuta, e i più comuni sono: fatica persistente, stanchezza, debolezza, dolori muscolari e articolari, mancanza di appetito. I sintomi specifici si manifestano in particolare a livello respiratorio, cardiovascolare, neurologico, gastrointestinale e psicologico. Ad esempio: fame d’aria (dispnea), tosse persistente; dolore al petto e senso di oppressione, tachicardia e palpitazioni, aritmie, variazioni della pressione arteriosa, ma anche pericarditi e miocarditi; mal di testa, difficoltà di concentrazione e memoria (la cosiddetta nebbia mentale o “brain fog”); disturbi dell’olfatto, del gusto, dell’udito; nausea, vomito, perdita di appetito, dolori addominali, diarrea, reflusso gastroesofageo; disturbi del sonno, depressione del tono dell’umore (tristezza, irritabilità, insofferenza, mancanza di interesse nei confronti di attività che prima piacevano), ansia, stress, psicosi.

Guido Rasi

La diagnosi di Long Covid – precisa Rasi – è clinica e quindi al momento si basa sull’osservazione e sul racconto dei pazienti sul proprio malessere, ma gli scienziati sono alla ricerca di biomarcatori in grado di portare a una diagnosi tramite un esame del sangue”. Fino a quando non avremo un test in grado di fare una diagnosi obiettiva della malattia, quindi, il “destino” dei malati è legato alla sensibilità dei medici che devono riconoscerla e quindi diagnosticarla. “Per questo ritengo fondamentale e cruciale una formazione precisa e puntuale dei medici sul Long Covid”, evidenzia Rasi.

Ma mentre sul fronte della ricerca delle cause e dei possibili rimedi contro il Long Covid sono a lavoro numerosi scienziati in tutto il mondo, poco si è fatto per garantire sostegno e assistenza a coloro che convivono con questa sindrome e che fanno fatica a svolgere le normali attività quotidiane. Non solo bambini e anziani, considerati soggetti deboli e quindi più fragili dinanzi ai disturbi legati alla malattia. Ma anche persone in piena attività lavorativa che, a causa del Long Covid, rischiano di perdere la loro produttività. Il dibattito è molto vivace negli Stati Uniti e nel Regno Unito, dove il sostegno alle vittime di Long Covid inizia a essere trattato come se fosse una questione di diritti umani: occuparsi delle “vittime”, in questo caso, significa combattere la discriminazione e la disuguaglianza.

Anche l’Oms si è espressa proprio di recente sull’argomento con lo scopo di invitare i governi del mondo a occuparsi di questa problematica. “Mentre la gestione pandemia è cambiata radicalmente grazie ai vaccini e ai monoclonali, e vediamo la luce alla fine del tunnel, l’impatto del Long Covid per tutti i paesi è molto grave e necessita di un’azione immediata e sostenuta equivalente alla sua portata”, ha dichiarato il direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus. Per questo, i paesi devono ora “investire seriamente” sia sulla ricerca che sull’accesso alle cure per le persone colpite se vogliono “ridurre al minimo la sofferenza” delle loro popolazioni e proteggere sistemi sanitari e forza lavoro, “sostenendo la salute fisica e mentale dei pazienti oltre a fornire sostegno finanziario a coloro che non sono in grado di lavorare”. Secondo Ghebreyesus, “il mondo ha già perso un numero significativo di forza lavoro a causa di malattie, decessi, stanchezza, pensionamenti non pianificati a causa di un aumento dell’invalidità a lungo termine, che non solo ha un impatto sul sistema sanitario, ma è un colpo per l’economia generale”.

Tra le misure a sostegno dei pazienti con il Covid, Katie Bach, autrice americana che ha redatto numerosi rapporti sull’impatto economico del Long Covid, e David Cutler, professore di Economia all’Università di Harvard, ne elencano alcune più significative. Oltre ad ampliare l’accesso alle cure a prezzi accessibili, laddove il sistema sanitario non è “universalistico“, come appunto negli Usa, i due esperti indicano come necessario un supporto ai pazienti che fanno fatica a lavorare o a ritornare a lavorare. Per quest’ultimi si avanza anche l’ipotesi di un cambio di settore professionale, qualora l’attuale mansione sia troppo gravosa rispetto ai sintomi del Long Covid. E suggeriscono anche un’assicurazione per l’invalidità a breve termine finanziata dal governo americano per consentire ai pazienti di riposare e, si spera, di riprendersi. “Il Long Covid è un campanello d’allarme – hanno scritto in un articolo, pubblicato sul Boston Globe – su quanto lo status quo della nazione sulle malattie croniche associate alle infezioni abbia deluso i lavoratori, le famiglie e l’economia. Ma potrebbe anche essere lo stimolo necessario per costruire sistemi di assistenza medica, occupazionale e sociale che funzionino per milioni di americani sofferenti”, aggiungono riferendosi agli Stati Uniti. Ma queste stesse riflessioni sembrano essere interessanti e pertinenti anche per il resto dei governi del mondo che ora si trovano ad affrontare questa nuova pandemia, più subdola della prima e destinata a durare per moltissimo tempo.

Come la pandemia ci ha insegnato – conclude Rasi – nessuno si salva da solo. Abbiamo quindi bisogno di una visione e di una strategia globale nell’affrontare questa nuova emergenza”.(30Science.com)

Valentina Arcovio