Emanuele Perugini

Vaccini prevengono ricoveri anche dopo 7 mesi. I nuovi studi su NEJM commentati da Carlo Riccardi

(13 Gennaio 2022)

(30science.com) – Roma, 13 gen. – Oggi la rivista New England Journal of Medicine (NEJM) pubblica una serie di studi che fanno il punto sulla durata della protezione dei vaccini anticovid e sulla loro risposta alle diverse varianti del virus Sars-Cov2 che abbiamo visto diffondersi in questi due anni di pandemia. 30Science.com ha chiesto a Carlo Riccardi, professore di farmacologia all’Università di Perugia, di spiegarci i diversi articoli che sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica.

Carlo Riccardi

“Intanto – precisa Riccardi –  anche se banale ormai, è bene ribadire che dai dati descritti e commentati, dai 3 articoli e dal breve editoriale, si evidenzia come sia elevata  l’efficacia dei vaccini per il covid-19, particolarmente per ridurre il ricovero, la malattia grave  e la morte”.

Articolo di Andrew et al.

E’ uno studio che valuta la efficacia dei vaccini ChAdOx1 (adenovirale, Astrazeneca) e BNT162b2 (mRNA, Pfizer) a 20 settimane (5 mesi ; o più) dalla seconda dose. Varianti Alfa e Delta.

“Tra i molti – spiega – un dato interessante è quello che indica l’efficacia contro la variante Delta. La protezione raggiunge il picco a 2 settimane e poi a 20 settimane declina al 44.3% nel caso di ChAdOx1 e 66.3% nel caso BNT162b2. Maggiore il declino in soggetti con età superiore ai 65 anni rispetto a quelli con età tra 40 e 65 anni. Un altro dato è quello che indica come il vaccino ad RNA il più efficace. Più efficace contro infezione sintomatica e forme gravi. Comunque più efficace contro variante alfa che contro variante delta. Più efficace nei giovani che negli anziani. Si tratta di dati che, nel loro insieme, sia per quanto riguarda il “livello” che la “durata” della immunizzazione, ribadiscono e rafforzano quanto già sapevamo. Interessanti i dati relativi alla variante Delta. L’efficacia contro la ospedalizzazione per Delta era del 80.0% con AZ e 91.7% con Pfizer a 20 o più settimane. Quindi, il decremento della protezione a 20 settimane è in realtà limitato. Egualmente limitato il declino della efficacia del vaccino contro la morte dovuta a variante Delta che era 84.8 con AZ e 91.9 con Pfizer a 20 o più settimane dopo la vaccinazione”.

In sintesi: 1) Diminuzione della efficacia contro malattia sintomatica con il passare del tempo.

2) Limitata (”limited”) diminuzione della protezione contro malattia grave (protezione ancora rilevante per almeno 5 mesi).

3) La diminuita protezione è maggiore in anziani (più di 65 anni) e fragili.

Articolo Dan-Yu Lin et al.

Si tratta di uno studio “Real Word” su 10,6 milioni di persone, praticamente gli abitanti di North Carolina. E’ una ricerca che riguarda i vaccini BNT162b2 (Pfizer–BioNTech), mRNA-1273 (Moderna), e Ad26.COV2.S (Johnson & Johnson–Janssen) e la diminuzione di protezione dalle infezioni (fino a 9 mesi), delle ospedalizzazioni e dai morti. Inoltre il lavoro si propone di considerare se tale declino è dovuto al declino della immunità o alla espansione della variante Delta.

“Molti i dati interessanti dai quali potremmo evincere alcune considerazioni e conclusioni del lavoro stesso” spiega Riccardi.

“In primo luogo, la protezione di ospedalizzazione e morte è più durevole per tutti e 3 i vaccini. Soprattutto quelli a RNA dove a 7 mesi è evidente siamo ancora in una situazione di plateau per Ospedalizzazione e Morte.  Precisamente Pfizer (che è dato a dosi minori rispetto a Moderna) scende da 96.4% a 88.7% a 7 mesi, Moderna da 97.2% a 94.1% a 7 mesi. Meno bene il vaccino adenovirale che scende da 85.8% a 80.0% a 6 mesi. In seconda battuta, la diminuzione di resistenza alla infezione (10 e 15% per i due vaccini a mRNA) è dovuta a declino della immunità ed anche alla variante delta. E’ più marcata per J&J il declino. I dati sono simili a quelli dei trial clinici ma quello che viene in evidenza, e che non possiamo non notare, è che il declino degli anticorpi, riportato da più fonti, non correla con i dati sulla protezione dalla ospedalizzazione e mortalità. Voglio dire c’e’ declino del titolo anticorpale (che tutti riportano essere evidente già a 4 mesi ed ancor di più a 5 mesi dalla vaccinazione) ma se guardiamo ad esempio la Figura 1, i dati a 8 mesi ci dicono che la protezione dalla ospedalizzazione e morte a 8 mesi è paragonabile a quello a 2-3 mesi particolarmente per i vaccini ad mRNA”.

“Ancora una volta – spiega Riccardi – una osservazione del genere può indurci a ricordare come tutti questi studi vengano fatti e commentati senza tener conto del ruolo della immunità mediata da linfociti T. Tanto per fare un esempio, come ci ricorda tra gli altri Heidi Letford (Nature Briefing del 11 gennaio, dove si fa riferimento a diversi articoli), molti autori suggeriscono – da tempo – di porre maggior attenzione alla immunità mediata da linfociti T. Questi anticorpi sono importanti per la resistenza alla infezione sia per azione diretta: sono in grado di uccidere cellule infette (eliminando così il virus ed antagonizzando la sua diffusione, Tcitotossici), sono in grado di supportare (come cellule helper, Th) la produzione di anticorpi da parte di linfociti B, sono ben in grado di “formare” cellule T della memoria (vaccinare significa memorizzare la risposta immune contro un antigene (incluso quelli virali). Inoltre, un aspetto interessante e molto importante è che la risposta mediata da linfociti T sembra essere più efficace contro varianti del virus incluso la omicron (questo può essere dovuto anche ad una delle caratteristiche della risposta dei linfociti T, incluso la importante capacità del TCR di “riconoscere” e “memorizzare” strutture antigeniche, che non è il caso qui di descrivere)”.

“Al di la dei pregi del lavoro – precisa –  come spesso accade negli studi credo dobbiamo osservare che ci sono alcune variabili, tipo ad esempio la stagionalità, la diffusione delle varianti che cambia nel tempo, etc, che potrebbero essere rilevanti nel influenzare i risultati”.

Olson et al.

“Anche questo – dice Riccardi – è un lavoro di Real Word sul vaccino a mRNA della Pfizer. Riguarda la prevenzione della ospedalizzazione e ingresso in terapia intensiva. Il lavoro dimostra l’efficacia della vaccinazione negli adolescenti. Il numero del campione potrebbe non essere adeguato: pochi dati, 1376 (154 esclusi) 445 vaccinati casi e 777 controlli, tra i 12 e 18 anni di età. Lo studio si svolge in un periodo in cui la variante Delta è ormai preponderante. I dati quindi indicano come la vaccinazione sia efficace anche contro la variante Delta negli adolescenti. Delta aumenta i ricoveri anche se i trial indicavano 100% di protezione. Gli autori fanno riferimento ad un loro lavoro recente in cui hanno già evidenziato una protezione del 93% negli adolescenti ed in questo lavoro espandono le osservazioni (il campione). I nuovi dati ora confermano quanto riportato in precedenza. Il vaccino sembra dunque essere efficace negli adolescenti, ma per quanto riguarda questo lavoro che indica il vaccino come è efficace potremmo osservare  che servirebbero più dati perché le ospedalizzazioni sono relativamente poche. Comunque i dati indicano una riduzione del rischio del 94% per la ospedalizzazione e del 98% per in ricovero in terapia intensiva.

Edwards.

“Si tratta – conclude Riccardi – di un Editoriale riguardante l’articolo di Olson sopra menzionato e riguarda quindi l’effetto del vaccino sugli adolescenti. L’autore ricorda come lo studio di Olson sia stato condotto in 31 ospedali selezionati  in 23 stati.  Sottolinea il fatto che solo il 24% del campione è costituito da Black e il 25% da Hispanic e che molti soggetti sono stati arruolati da stati del sud dove limitato è il numero di adolescenti vaccinati. I dati, commenta, indicano come la vaccinazione negli adolescenti potrebbe evitare le ospedalizzazioni e decessi. Chiude ricordando la necessità di vaccinare i soggetti della fascia di età tra 5 e 11 anni e che negli usa ci sono 7.5 milioni di bambini in questa fascia di età”.(30Science.com)

 

 

 

Emanuele Perugini
Sono un giornalista. Sono nato nel 1970 e ho cominciato a scrivere nel 1994. Non ho più smesso. Nel corso della mia carriera ho scritto molto di scienza, di ambiente, di salute cercando di portare la scienza e la profondità dell'analisi scientifiche in ogni ambito di cui mi sono occupato.